Patrizia Caraveo è un’astrofisica italiana. È stata ricercatrice all’Istituto di Fisica Cosmica del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) di Milano, poi confluito nell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Dal 2002 è dirigente di ricerca dell’INAF ed è stata direttore dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Milano (IASF) dal 2011 al 2017. Ha collaborato a diverse missioni spaziali internazionali dedicate all’astrofisica delle alte energie, a partire dalla missione europea Cos-B. Attualmente collabora alla missione Agile dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), alla missione Integral dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), e alle missioni della NASA Swift e Fermi. Caraveo ha parlato a S-citizenship del suo lavoro nel campo dell’astrofisica delle alte energie, delineando una panoramica dei principali obiettivi delle missioni alle quali collabora.
Com’è nato il suo interesse per l’astrofisica?
«Ci sono persone che rispondono a questa domanda dicendo “io ho sempre sognato di fare l’astrofisica”. No, non è il mio caso. Io sono una persona che è stata affascinata da un problema di astrofisica nel corso del mio percorso di studi per arrivare ad avere la laurea in fisica.
Il mio interesse è nato nel corso del mio percorso di studi in università. Non avevo ancora le idee chiare su cosa volessi fare e ho seguito un corso che si chiamava fisica cosmica. Il corso era centrato su un fenomeno molto pervasivo ma abbastanza poco noto al grande pubblico che sono i raggi cosmici, cioè queste particelle di alta energia che ci bombardano in continuazione.
In generale ne sentiamo parlare solo quando, per esempio, si parla degli astronauti. Si dice che per andare su Marte gli astronauti corrono grandi rischi perché vengono investiti da tutto il flusso di particelle cosmiche che invece a noi sulla Terra viene risparmiato, perché la Terra ha un campo magnetico che la “protegge”. Il corso copriva questi ed altri argomenti come le possibili sorgenti di raggi cosmici, che sono abbastanza difficili da studiare perché sono particelle cariche e interagiscono con i campi magnetici. I campi magnetici curvano le traiettorie dei raggi cosmici che diventano smemorati perché perdono la memoria dell’oggetto celeste che li ha prodotti. Quindi cercare di capire quali sono gli oggetti celesti responsabili dell’accelerazione dei raggi cosmici è un bellissimo problema, che mette insieme la fisica e l’astronomia.
Io sono rimasta molto affascinata da questi argomenti e ho chiesto al professore se fosse possibile fare la tesi in questo campo. Lui mi disse che in quel momento non aveva argomenti particolarmente interessanti sottomano, ma che un collega lavorava con un satellite in grado di rilevare i raggi gamma che era appena stato lanciato. Si trattava del satellite Cos-B. Mi disse: “Se ti interessa, lì c’è materiale per fare una bella tesi”. È stata il mio ingresso nel campo che era appena nato dell’astrofisica gamma, l’astrofisica delle alte energie».
Lei è coinvolta nella missione europea Integral, nella missione della NASA Swift, nella missione italiana Agile e nella missione NASA Fermi. Quali sono i principali obiettivi di queste missioni?
«Sono tutte missioni di astrofisica delle alte energie, cioè studiano fotoni X e gamma. Questi tipi di astronomia devono essere fatti con satelliti perché la nostra atmosfera è un killer di fotoni X e gamma, li assorbe e non li lascia passare. Queste missioni vogliono studiare l’universo violento, capace di produrre radiazione molto energetica.
Per esempio, il satellite Agile e il satellite Fermi sono entrambi dedicati all’astronomia gamma, quindi rilevano dei fotoni gamma che sono dei fotoni molto energetici, i più energetici che conosciamo. Non sono dei telescopi veri e propri, ma sono degli strumenti che devono rivelare un fotone. I fotoni di questa energia devono essere “convinti” a trasformarsi in particelle e questo si fa facendoli interagire con dei materiali molto “pesanti”, come il piombo o il tungsteno. Quando il fotone gamma interagisce con questi atomi molto “ciccioni” ha una certa probabilità di trasformarsi in una coppia elettrone-positrone. A quel punto gli strumenti sono capaci di rivelare la coppia elettrone-positrone, di capire da che direzione del cielo è arrivata, di fare il conto dell’energia, e quindi di permettere di fare una mappa dei fotoni gamma che sono stati rivelati dagli strumenti.
Il satellite Agile è un piccolo satellite tutto italiano mentre il satellite Fermi è un po’ il suo fratello maggiore ed è equivalente a circa 16 volte Agile. Essendo più grande ha una capacità di arrivare a vedere anche energie più alte di Agile, ma il tipo di fisica e di astrofisica che fanno è la stessa: studiano gli oggetti più energetici del nostro universo, quelli che sono capaci di produrre raggi gamma di alta energia. Quindi, per esempio, studiano le stelle di neutroni che ruotano velocissimamente, quelle che si chiamano pulsar; studiano le galassie attive, cioè quelle che hanno dei getti all’interno dei quali sono capaci di generare particelle che poi producono raggi gamma; studiano i resti delle supernove, quindi delle esplosioni stellari, e così via.
Il satellite Swift ha una missione diversa, è nato per stanare e localizzare con grande precisione i lampi gamma, ossia emissioni molto brevi e molto intense di raggi gamma. Possono venire da posizioni qualsiasi nel cielo e quindi c’è bisogno di un sistema estremamente intelligente e performante per accorgersi che è avvenuto un lampo gamma, riposizionare il satellite e fare un’osservazione profonda di quelle regioni del cielo. Swift è partito nel 2004 ed è tuttora perfettamente funzionante, ha visto letteralmente migliaia di lampi gamma e fatto scoperte estremamente importanti. Tuttavia la cosa straordinaria di Swift e della fisica dei lampi gamma è che uno non può mai dire di aver capito tutto, perché magari il prossimo lampo gamma sarà diverso dagli altri e ci dirà qualcosa di nuovo. La fisica dei lampi gamma è straordinariamente variegata, piena di aspetti “imprevisti” che tengono impegnati gli scienziati.
Spesso Swift lavora in parallelo a Integral o a Fermi, perché sono tutte missioni che si parlano tra di loro. Quando viene rivelato qualcosa di veramente interessante si mandano allerte a tutti gli strumenti perché anche loro possano contribuire alle osservazioni. Le allerte vengono anche mandate a tutti i telescopi a terra, in modo che possano seguire questi fenomeni del cielo gamma, che è sempre un cielo estremamente variabile. Il cielo delle alte energie non è mai statico, c’è sempre qualcosa che succede ed è quindi una sorgente di spunti che permette ad altri osservatori di andare più a fondo e di vedere quello che sta succedendo in quel particolare oggetto celeste».
Come ha visto cambiare la tecnologia dagli inizi della sua carriera?
«La tecnologia è cambiata tantissimo. L’analisi dei dati la facevamo stampando le posizioni dei fotoni su grandi fogli di carta per vedere dove si addensavano, per capire dove fossero le possibili sorgenti di fotoni gamma. Adesso usiamo computer che ci danno visioni immediate dei dati. Fanno infinitamente più in fretta di noi e, magari, quando si trova qualcosa, è anche possibile interrogare i database che contengono tutte le informazioni su tutte le osservazioni che sono state fatte da tutti i satelliti che sono stati in orbita, ecc. Quindi, si può dire: “Dimmi che cosa è stato visto da questa direzione del cielo” e a quel punto si può avere quella che si chiama una visione multi-lunghezze d’onda. Cioè se noi vediamo che succede qualcosa, per esempio i raggi gamma, magari un radio telescopio ha visto che una certa galassia si è svegliata ed è più brillante del solito, è più attiva del solito, e così via.
Ho visto cambiare veramente moltissimo il modo di lavorare, il modo di studiare. Per esempio, all’inizio e per molti anni nel corso della mia carriera, io andavo in biblioteca a leggere le riviste. Le riviste arrivavano in biblioteca, la gente andava a leggere, faceva fotocopie per essere aggiornato. Adesso invece le riviste sono accessibili online. Ci si può abbonare per avere notizie su certi filoni di ricerca in modo tale da essere sempre aggiornati e quindi è molto cambiato il rapporto del ricercatore con l’editoria scientifica che adesso è più facile da consultare. Il lavoro è diventato da una parte più immediato ma dall’altra più intenso, perché, avendo modo di sapere tutto, si suppone che una persona segua tutte le notizie e abbia modo di approfondirle. Ovviamente questo non è possibile e diventa una fonte di stress perché si finisce per essere sempre in affanno.
Nel corso dei quarant’anni della mia carriera è cambiato il nostro rapporto con i computer, con i libri, con le pubblicazioni. È cambiato il modo di scrivere gli articoli scientifici. Adesso ci chiediamo se dobbiamo farci aiutare dall’intelligenza artificiale e c’è tutta una serie di problematiche, considerate futuro remoto fino a qualche anno fa, che sono praticamente arrivate sui nostri telefonini, sulle nostre scrivanie».
Quali ritiene siano le più importanti direttrici di innovazione future?
«Questa è una cosa molto difficile da prevedere. Certamente ci sono grandi sfide che ci aspettano, per esempio noi non abbiamo ancora capito di cosa è fatta la materia oscura e abbiamo idee ancora ancora più confuse sull’energia oscura, ecc. Ci sono dei grossissimi capitoli dell’astrofisica che sono ancora completamente aperti, ma è estremamente difficile prevedere come ci organizzeremo per rispondere a queste sfide perché la situazione cambia veramente in modo continuo.
Adesso l’entrata in grande stile dell’intelligenza artificiale è una novità inaspettata ancora più difficile da controllare. Gli sviluppi possono essere positivi ma anche negativi, e quindi faccio veramente fatica a dire che cosa succederà. Posso immaginare quello che saranno alcune delle grandi scoperte, per esempio del James Webb Space Telescope, perché più o meno ho idea dei programmi che si stanno portando avanti. Ma non saprei dire se andremo su Marte dal momento che bisogna considerare oltre ai fattori tecnici e tecnologici, che più o meno posso immaginare, anche fattori psicologici e fattori politici, che sono molto difficili da immaginare nel prossimo futuro. Chi può dire se ci sarà abbastanza determinazione e collaborazione tra le agenzie spaziali per fare dei grandi progetti di esplorazione planetaria che coinvolgano esseri umani?».
Lei ha collaborato al progetto 100 donne contro gli stereotipi che ha dato voce a esperte di STEM, economia e finanza, politica internazionale, storia e filosofia. Contro quali stereotipi si è scontrata nel corso della sua carriera?
«Più o meno contro gli stereotipi contro i quali si scontrano tutte e tutti. Io, personalmente, non ho mai incontrato nessuno che mi ha detto che il lavoro dell’astrofisica non era un lavoro adatto alle donne e quindi da questo punto di vista non posso dire di avere avuto degli ostacoli insormontabili sulla mia carriera. Sicuramente il problema di tutte le donne che lavorano nel campo degli STEM è che la presenza femminile viene apprezzata all’inizio della carriera, perché si cerca di stare attenti ad avere anche una componente femminile nei team di ricerca, ma poi questa componente femminile fa molta più fatica a fare carriera, ad andare avanti. È la famosa storia del soffitto di cristallo: le donne arrivano a un certo livello e poi fanno fatica ad andare avanti. Vuoi perché hanno difficoltà a trovare un giusto equilibrio tra la vita professionale e la vita privata, dal momento che in generale si dà per scontato che l’impegno della famiglia ricada molto più sulle donne che non sugli uomini e che quindi non ci sia un impegno condiviso. Vuoi perché, quando si devono scegliere le persone che devono guidare i progetti, i comitati che fanno la scelta sono in generale fatti da uomini ed è nell’ordine naturale delle cose che un comitato fatto da uomini abbia molta più familiarità con i candidati maschi che non con le candidate femmine.
Fondamentalmente è quello che si chiama l’old boys network, il circolo degli amici. Alla fine, le persone che contano vengono tutte dallo stesso ambiente e si conoscono tutte, mentre le donne sono un po’ estranee a questo giro e quindi sono fuori dal circolo degli amici. È un fenomeno contro cui il gruppo di 100 donne contro gli stereotipi si batte perché è fondamentale dare alle donne le stesse opportunità che vengono date agli uomini e questo non avviene quasi mai. Le donne vengono pagate di meno, sempre, in tutte le nazioni del mondo, per fare lo stesso lavoro. Il fatto che si debba fare una legge per dire “è obbligatorio pagare le donne e gli uomini allo stesso modo” significa che questo non succede. Ma anche quando la legge c’è, la si può aggirare, per esempio con i benefit e con i bonus che non sono regolati dalla legge.
Quindi il problema dell’uguaglianza di genere è un problema difficile, molto sfaccettato, del quale però bisogna continuare ad occuparsi. È un compito ingrato (in altre parole, una palla mortale) perché si ha sempre l’impressione di dare testate ad un muro di gomma, ma l’unico modo per far migliorare la situazione è continuare a sollevare il problema, perché nel momento in cui si smette di farlo, anche solo per un attimo, la situazione retrocede e peggiora. Morale: il tempo non sana queste problematiche, bisogna sanarle con la buona volontà».
Cosa consiglierebbe alle ragazze che aspirano a una carriera nel campo delle scienze e della ricerca spaziale?
«Direi “Ragazze, buttatevi!”. La carriera nella ricerca è bellissima sia per i maschi sia per le femmine che hanno esattamente le stesse capacità dei maschi; quindi, non sono né più né meno brave dei loro colleghi maschi. La carriera nella ricerca si sceglie per passione ed è una carriera coinvolgente, non si fa ricerca dalle 9 del mattino alle 5 del pomeriggio: se c’è qualcosa di importante da fare, la si fa più o meno in orario continuato. Se, per esempio, si devono fare delle osservazioni dall’altra parte del mondo, bisogna organizzarsi per andare dall’altra parte del mondo.
Adesso molte cose si possono fare online, ma, magari, per avere un avanzamento di carriera importante bisogna cambiare nazione, bisogna rispondere a delle richieste che arrivano da altri paesi d’Europa, dagli Stati Uniti, dall’Australia, o da altri posti che offrono delle posizioni più interessanti di quello che uno ha in questo momento. A quel punto ogni persona, ovviamente, è assolutamente libera di decidere, mi butto oppure no? Mi va bene dove sono? Se mi butto magari ho più possibilità di fare carriera, se invece decido che mi va bene dove sono, le possibilità di fare carriera saranno quelle che saranno. Quello che io dico sempre è che bisogna avere chiari i piani nella vita, perché si può essere felici di stare dove si è, perché magari si pensa che sarebbe difficile cambiare città, cambiare nazione, sarebbe un onere troppo pesante dal punto di vista personale. E, per carità, è assolutamente rispettabile questa decisione, ma a volte se si vuole riuscire a fare degli importanti avanzamenti di carriera occorre confrontarsi con questi problemi. Intendiamoci, nessuno/a è obbligato a farlo, può tranquillamente stare nel posto dov’è e continuare a fare le cose che fa. Rimane il fatto che, a volte, nella vita bisogna avere il coraggio di buttarsi e questo è più difficile per le ragazze. E’ una questione di educazione, di retaggio culturale. Deriva da come vengono cresciute le ragazze, con certe priorità che sono diverse da quelle dei maschi, e poi queste priorità rimangono ben fisse nel cervello e sono quelle che determinano le scelte nella vita».

Patrizia Caraveo è astrofisica e ricopre il ruolo di dirigente di ricerca presso l’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica). È stata premiata nel 2009 con il prestigioso premio Presidente della Repubblica per i suoi significativi contributi alla comprensione dell’emissione di alta energia delle stelle di neutroni. Nel 2014, ha ricevuto l’Outstanding Achievement Award dal Women in Aerospace Europe. Inoltre, è stata nominata Commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana. È membro del Gruppo 2003 per la ricerca scientifica e partecipa anche al progetto “100 donne contro gli stereotipi”. Tra le sue pubblicazioni più note figura “Conquistati dalla Luna”.