La riduzione del numero di deputati e senatori ha determinato un parziale, ma significativo cambiamento dell’assetto del Parlamento. Rimane, tuttavia, una delle sfide più importanti della prossima legislatura. Su quali saranno le priorità del nuovo Governo in termini di riforma dei regolamenti di Camera e Senato, e non solo, abbiamo intervistato Nicola Lupo, professore ordinario di diritto delle assemblee elettive presso la Luiss Guido Carli di Roma, nominato, nel settembre 2021, coordinatore dell’Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione, unità di missione PNRR della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Riforma dei regolamenti di Camera e Senato: che succederà quando si insedierà il nuovo Parlamento?
«La riforma costituzionale, poi approvata con il Referendum, presupponeva una serie di sviluppi ulteriori che sono avvenuti solo in minima parte, un po’ per il mutamento degli equilibri politici, perché quella riforma è stata fortemente voluta dalla coalizione 5 stelle-PD che sorreggeva il Governo Conte II, un po’ perché lo scioglimento anticipato ha impedito probabilmente di portare a termine alcuni interventi che si era immaginato di fare negli ultimi mesi della XVIII legislatura. Tant’è che la stessa riforma del regolamento del Senato è stata approvata successivamente al decreto di scioglimento delle Camere. A Palazzo Madama, comunque, sono riusciti a portare a termine questa riforma, mentre a Montecitorio hanno fatto un tentativo subito prima della sospensione estiva, ma, purtroppo, senza successo.
Dal punto di vista formale è evidente che le Camere possano lavorare anche con il vecchio regolamento, che non cessa di esistere solo perché sono state rinnovate o perché i loro membri sono in numero ridotto. Il problema, però, è sostanziale: è chiaro che un Parlamento con una riduzione così cospicua di membri è un Parlamento diverso, che ha bisogno di regole nuove per funzionare al meglio».
Nelle prossime settimane il Parlamento sarà chiamato non solo ad una riforma dei regolamenti, ma anche a diversi atti di grande rilevanza, penso ad esempio alla legge di bilancio. C’è il rischio che possano crearsi degli intoppi dovuti ai regolamenti non ancora aggiornati?
«A seguito del Referendum sulle riduzioni parlamentari, svoltosi nel settembre 2020, era necessario che le Camere si attivassero da subito per importanti riforme, così da approvarle in questa legislatura e non nella successiva. Il problema di iniziare una legislatura con ancora in agenda l’esigenza di riscrivere il regolamento rischia di frammentare o di incidere negativamente sull’andamento dei lavori. Inoltre, a seguito dello scioglimento anticipato, i tempi per l’approvazione della legge di bilancio sono molto ristretti perché, anche ipotizzando, nella migliore delle ipotesi, di avere per fine ottobre un nuovo Governo, il tempo effettivamente disponibile per la sua approvazione, tra Camera e Senato, sarà circa di un mese e mezzo. Non è impossibile, ma è certamente impegnativo.
È anche vero che si tratta di disegnare gli obiettivi di politica economica del Paese, quindi la nuova maggioranza, qualunque essa sia, dovrà decidere che tipo di manovra finanziaria mettere in piedi e realizzarla nell’arco di poche settimane. D’altro canto, l’ipotesi dell’esercizio provvisorio andrebbe evitata in tutti i modi, anche per le reazioni che potrebbe determinare sui mercati finanziari: basti ricordare che l’ultimo esercizio provvisorio è stato quello del 1988, quindi stiamo parlando di un’altra era».
Dal suo punto di vista, quale sarà la sfida più grande per questa nuova conformazione del Parlamento?
«Una prima sfida attiene alle commissioni permanenti: il Senato le ha ridotte da quattordici a dieci, e credo che la Camera debba fare lo stesso, anche perché ritengo che ci sia un problema di accorpamento in modo da avere commissioni più significative sul piano delle politiche pubbliche. Ormai le politiche pubbliche sono macro-politiche pubbliche e avere commissioni permanenti che sono dispersive dal punto di vista degli interessi rappresentati è, a mio avviso, un grosso problema che indebolisce l’apporto parlamentare alla definizione delle politiche pubbliche.
Una seconda sfida è quella che attiene al ripensamento del bicameralismo a Costituzione invariata: la riduzione del numero dei parlamentari e l’equiparazione dell’elettorato attivo per Camera e Senato sono riforme che presuppongono che le Camere restino simmetriche, dopo il fallimento del Referendum del 2016. La stessa legge elettorale vigente, se non altro, tra i pochi vantaggi, ha quello di prevedere il medesimo sistema elettorale tra Camera e Senato. Tutti elementi che dovrebbero spingere a far funzionare questo bicameralismo il più possibile in modo coordinato e omogeneo, così da evitare che le due Camere alimentino ulteriormente i già numerosi poteri di veto e accentuino i rischi di instabilità governativa.
Una terza sfida, infine, è quella dell’innovazione tecnologica. La rivoluzione digitale lancia una sfida esistenziale alla democrazia rappresentativa perché rende ipoteticamente possibile ricorrere alla democrazia diretta, anche su vasta scala. Ma la democrazia rappresentativa ha, dalla sua, ben solide ragioni, che la rendono preferibile: deve farle valere, anche attraverso l’uso intenso delle nuove tecnologie. La questione è emersa, in parte, durante il Covid con il dibattito sull’opzione tra lavoro parlamentare in presenza o a distanza. I Parlamenti che erano più avanti a livello di innovazione tecnologica, penso al Parlamento Europeo, sono stati in grado di continuare a lavorare in maniera efficace. Invece, maggiori problemi hanno avuto quei Parlamenti che non avevano fatto troppi passi significativi in quella direzione e hanno incontrato più resistenze nel coinvolgere le opposizioni e nell’affermare il valore del confronto parlamentare, anche di fronte a scelte molto drastiche e di compressione delle libertà fondamentali, quali quelle che sono state assunte durante il Covid».
Quali sono le priorità che dal 25 settembre in poi, dal suo punto di vista, dovranno essere affrontate, anche alla luce degli aspetti che ha evidenziato?
«Come detto, c’è sicuramente l’esigenza che la Camera appronti una riforma del suo regolamento, auspicabilmente in stretto coordinamento con il Senato. Su un piano più generale, nel merito delle politiche legislative, va considerato che una quota significativa di priorità è già stabilita all’interno del PNRR, che è stato approvato ad amplissima maggioranza da Camera e Senato a fine aprile 2021 e, poi, adottato dalle Istituzioni Europee. Quello che c’è scritto in quel piano delinea non tutto l’indirizzo politico, non tutte le scelte che possono essere fatte, ma una quota significativa, che è interesse dell’Italia riuscire a perseguire. All’interno di quel piano ci sono una serie di riforme e di investimenti di cui il nostro Paese ha bisogno da anni, se non da decenni.
Mi auguro che questa sia una partita su cui tutte le forze politiche, indipendentemente dal fatto che vincano o perdano le elezioni, abbiano la capacità di non demordere, anzi di continuare a perseguire con convinzione, come hanno fatto, del resto, anche all’indomani dello scioglimento. Questo mi ha molto rassicurato: il fatto che l’attuazione del PNRR, anziché rallentare, ha subito un’accelerazione nelle ultime settimane, anche grazie alla volontà del Presidente della Repubblica e del Presidente del Consiglio, oltre che delle forze politiche. Mi auguro che questa spinta non venga meno negli anni che ci separano da qui al 31 dicembre 2026 e che il metodo di governo che il PNRR richiede possa estendersi anche oltre tale data».

Nicola Lupo, dopo essere stato consigliere alla Camera dei deputati dal 1997 al 2005, è diventato professore ordinario di diritto delle assemblee elettive presso la Luiss Guido Carli nel 2006. Attualmente è il direttore del Centro Studi sul Parlamento (CESP) e Visiting Professor presso la Nicolaus Copernicus University, Faculty of Law and Administration, a Torun (Polonia), nonché Associate Research Fellow presso l’Institute of Advanced Legal Studies (IALS) presso la University of London. Nel settembre 2021, il Presidente del Consiglio Mario Draghi lo ha nominato coordinatore dell’Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione, un’unità di missione del PNRR.