Legge elettorale, rappresentanza e incognite sulla composizione del prossimo Parlamento e, dunque, sulla stabilità dell’Esecutivo. Su questi aspetti abbiamo intervistato Alfonso Celotto, avvocato, costituzionalista e Professore di Diritto Costituzionale presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre.
Professore, quale sarà l’effetto del taglio dei parlamentari sulla legge elettorale?
«Ancora non lo sappiamo, lo scopriremo una volta chiuse le urne. Una conseguenza, d’altro canto, è la non rappresentatività dei territori e la mancanza dei famosi correttivi che erano stati auspicati al momento della riforma, perché, ad esempio, per quanto riguarda il Senato in ben 8 regioni, nonostante la soglia di sbarramento sia al 3%, quella reale si alza fino al 20%. Se questa previsione si realizzerà, si configurerà un grave taglio alla rappresentatività».
Forse è stata privilegiata la governabilità, rispetto alla rappresentatività?
«È impossibile, o almeno dipende dai risultati. La prima volta che si è votato con il Rosatellum di certo non ci sono stati benefici sotto questo punto di vista, con tre Governi dalla composizione estremamente diversa e alta instabilità».
Perché ciclicamente si torna a proporre o discutere dell’introduzione del Presidenzialismo?
«Se ne parla dalla Commissione Bossi del 1982, perché sin dagli albori della Repubblica abbiamo avuto sempre governi fragili. La nostra forma di parlamentarismo ha portato ad avere 67 Governi in 74 anni: troppo instabili. L’intento dei Padri Costituenti era certamente disegnare uno Stato che evitasse l’uomo forte al comando, ma già dopo 30 anni sono iniziate le riflessioni sull’eccessiva debolezza. Infatti, per Regioni e Comuni sono state riformate le leggi elettorali per ottenere un presidenzialismo negli Enti Locali, che favorisce la governabilità.
Il Presidenzialismo, con i giusti pesi e contrappesi, non è un sistema antidemocratico o anticostituzionale; dipende da come viene istituito: basti pensare alle differenze tra il modello della Turchia e quello degli Stati Uniti o della Francia».
Perché in Italia, nei momenti più complessi o nelle fasi più critiche, ci si rivolge ai tecnici?
«Perché il sistema politico, che spesso si trova in difficoltà nell’esprimere maggioranze coese, cerca di nominare dei governi misti con competenze tecniche. A ciò si aggiunge che non sempre la classe politica riesce ad esprimere adeguatamente delle personalità idonee e si trova costretta a mescolare personalità tecniche. Basti pensare che, ormai, da molti anni il Ministro dell’Economia viene da quel mondo, piuttosto che dall’ambiente politico o partitico.
Il tutto si inscrive in un discorso più ampio dell’indebolimento generalizzato delle democrazie occidentali. A cui si sta cercando di trovare una soluzione tramite strumenti di innovazione democratica e open government, attraverso le quali introdurre la partecipazione nell’amministrazione, dopo il declino dei partiti di massa, che, invece, riuscivano a fungere da collegamento tra cittadino e istituzioni».

Alfonso Celotto è un professore ordinario di diritto costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi Roma Tre. Ha conseguito la laurea con lode e dignità di pubblicazione presso la Facoltà di Giurisprudenza della Luiss Guido Carli e il titolo di dottore di ricerca in diritto costituzionale e diritto pubblico generale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma. È stato Visiting Professor presso l’UBA – Universidad de Buenos Aires, l’Università di Varsavia e l’Università Mc Gill di Montreal. Ha svolto attività accademica e di ricerca in diversi Paesi, tra cui Italia, Francia, Spagna, Perù, Argentina, Polonia, Canada e Australia. Inoltre, ha ricoperto numerosi incarichi istituzionali e ha collaborato, per consulenza e per contenziosi, con i principali studi italiani dinanzi alla Corte costituzionale e alle Magistrature amministrative.