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Duilia De Mello: «Spedizioni spaziali private? Un bene per la scienza, ma serve attenzione»

di Redazione

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Nell’immaginario comune l’astronomo è lo scienziato per eccellenza. Una persona che studia i corpi e i fenomeni esterni all’atmosfera terrestre, un qualcosa su cui tutti noi semplicemente fantastichiamo o riguardo alla quale ci informiamo grazie alle scoperte effettuate proprio dagli astronomi. Insomma, si tratta di una figura che desta curiosità, interesse e dalla quale c’è sempre molto da imparare, soprattutto in un momento storico come il nostro in cui si parla di spedizioni spaziali effettuate da privati, basti pensare a SpaceX. «È fondamentale pianificare nel dettaglio una spedizione spaziale, ne va del bene dell’intero pianeta. Sono favorevole a queste spedizioni private, ma fintanto che vengano effettuate con estrema precisione e attenzione», dichiara Duilia De Mello, astronoma, vicerettore della Catholic University of America di Washington e ricercatrice della NASA.


Vicerettore della Catholic University of America di Washington e ricercatrice della NASA. Ci racconti la sua passione per il cosmo.
«Quando ero bambina mi appassionava molto la fantascienza e mi piaceva tutto ciò che avesse a che fare con l’universo, volevo scoprirne i segreti e conoscerne ogni dettaglio. Così, quando sono cresciuta, ho deciso di studiare astronomia e oggi sono professore ordinario del Dipartimento di fisica della CUA e vicerettore per le strategie globali. Il Dipartimento di fisica dell’università ha un istituto all’interno della NASA, l’Istituto di Astrofisica e Scienze Computazionali. Conta circa cento persone affiliate, e anch’io ho lavorato lì per un periodo. Ora insegno all’università, perciò non posso più essere fisicamente presente alla NASA ma collaboro molto spesso con loro in qualità di ricercatrice, in particolare nell’utilizzo del telescopio spaziale Hubble».


Tra le sue scoperte più sorprendenti c’è quella della supernova SN1997D.
«Ho scoperto la SN1997D nel gennaio 1997, mentre osservavo le galassie, che sono quello di cui mi occupo. Mi trovavo in un osservatorio in Cile, stavo usando un piccolo telescopio, e stavo studiando la composizione chimica delle galassie in collisione per scoprire se ci fossero delle differenze con quelle non in collisione. Mentre puntavo il telescopio, ho visto una stella che non doveva essere dove si trovava: era proprio sopra la galassia che stavo osservando. Così, mi sono spostata con lo sguardo su di lei e ho capito che si trattava di una supernova, cioè una stella appena esplosa.


Le stelle nascono, vivono e muoiono, proprio come gli esseri viventi. Nel corso della loro vita producono energia, trasformando elementi chimici più leggeri in elementi chimici più pesanti, come ad esempio l’idrogeno in elio o l’elio in carbonio. Questa trasformazione si chiama fusione nucleare. Nel momento in cui il combustibile nucleare si esaurisce, la stella esplode, diventando così una supernova. In questa fase, può raggiungere una luminosità pari a quella di un’intera galassia, composta da miliardi di stelle. Lo studio delle supernove è importante per capire come questi elementi chimici siano finiti nel mezzo interstellare, che poi formeranno altre stelle, pianeti e, persino, vita».


Nel 2008 ha individuato per la prima volta un “orfanotrofio di stelle”. Di cosa si tratta?
«Stavo analizzando un piccolo gruppo di galassie in collisione, precisamente la M81, la M82 e la NGC3077, utilizzando un satellite ultravioletto chiamato GALEX. Tra la M81 e la M82 ho visto delle bollicine blu. Mi sono resa conto che si trovavano all’interno di una nuvola di idrogeno, che avevamo già individuato con il telescopio spaziale Hubble. Ad un’analisi più attenta delle bolle con il telescopio, abbiamo scoperto che si trattava di stelle giovani, nate fuori dalla galassia.


Ecco perché si parla di “orfanotrofio di stelle”. Si tratta di un gruppo solitario nel mezzo intergalattico. Questa scoperta ha risposto alle domande che ci facevamo su cosa ci fosse nell’ambiente intergalattico».


Ha lavorato anche nel centro operativo del telescopio Hubble (STScI). Cosa vuol dire riuscire a catturare immagini delle profondità inaccessibili dell’universo?
«Sono arrivata all’istituto del telescopio spaziale Hubble nel 1997 per un postdoc. Nel 1998 è stata realizzata la seconda campagna sui campi profondi del direttore dell’istituto Bob Williams e ho chiesto di unirmi al team. Il mio postdoc riguardava qualcos’altro, ma avevo un po’ di tempo da dedicare alle immagini delle profondità dell’universo. Sono entrata a far parte della squadra ed è stata un’esperienza incredibile. È molto gratificante vedere tutto lo sforzo che viene fatto, ancora oggi, per osservare le galassie nelle profondità dell’universo. Lavorare lì è stato molto gratificante. Ho conosciuto molte persone di tante nazionalità, ho imparato tanto da ciascuna di loro».


Negli ultimi anni si parla di spedizioni spaziali effettuate da privati, basti pensare a Elon Musk o a Jeff Bezos. Cosa ne pensa?
«Durante il governo Obama, è stato deciso che tutti i voli suborbitali sarebbero stati effettuati da aziende private e che la NASA avrebbe finanziato queste missioni. Quando si parla di SpaceX, tutti i soldi investiti nella missione non provengono da Elon Musk, al contrario, la maggior parte proviene dalla NASA.


Penso che si tratti di una nuova visione dell’esplorazione spaziale, che si cerchi di capire quanto i grandi miliardari del mondo sarebbero disposti a investire in queste spedizione e, da quello che stiamo vedendo, la risposta è molto. Questo è un bene per la scienza, trovo solo preoccupante e sbagliato non coordinarsi. Ad esempio, c’è il problema delle costellazioni satellitari di SpaceX: questi piccoli satelliti, lanciati in tanti, tutti allo stesso tempo, rovinano le ricerche che stiamo facendo con i telescopi, siano essi terrestri o spaziali. Inoltre, nel momento in cui questi satelliti diventano detrito spaziale, si genera un serissimo problema per la Terra a livello di inquinamento.


Questa mancanza di coordinamento con gli scienziati o con l’Unione Astronomica Internazionale o con l’American Astronomical Society, mi preoccupa. Al momento, queste istituzioni stanno cercando di trovare un punto di incontro, con l’obiettivo di proteggere il cielo buio e silenzioso dall’interferenza delle costellazioni satellitari. È fondamentale pianificare nel dettaglio una spedizione spaziale, ne va del bene dell’intero pianeta. Perciò sono favorevole a queste spedizioni, ma fintanto che vengano effettuate con estrema precisione e attenzione».



Lei abita e lavora negli Stati Uniti. Quanto pensa sia importante che i giovani facciano esperienza all’estero?
«La scienza è internazionale ed è fondamentale che sia così, perché culture diverse hanno modi differenti di risolvere i problemi. È, quindi, molto importante studiare e fare esperienza all’estero. La società cresce meglio quando mescoliamo esperienze e culture».


Parlando, invece, di gender equality, purtroppo le donne sono ancora una minoranza nel settore dell’astronomia. Cosa vuole consigliare a chi ha intenzione di intraprendere questa strada vista, ancora da molti, appannaggio di un uomo?
«La situazione è migliorata negli ultimi vent’anni, vediamo molti più giovani, ma, purtroppo, ancora non molte donne. Buona parte di quelle che intraprendono questo percorso, finiscono per non raggiungere posizioni di leadership nelle loro carriere. Questo è un qualcosa su cui dobbiamo lavorare sodo.


Voglio dire alle ragazze che ci leggono che bisogna avere tanta resilienza, bisogna parlare con altre donne e darsi una mano a vicenda, bisogna accettare che non sarà un percorso semplice, ma con studio e dedizione si raggiungono i proprio obiettivi. L’importante è non mollare nel primo ostacolo perché, credetemi, è possibile fare carriera all’interno della scienza, anche e soprattutto per una donna».


Lei è fondatrice dell’associazione “Mulher das Estrelas” (Donna delle Stelle). Ci racconti qual è la vostra mission.
«L’associazione “Mulher das Estrelas” è un’associazione informale, non è una ONG, ma, soprattutto, è un mio sogno che si è avverato. È un modo per incontrare i giovani, soprattutto nelle scuole del Brasile, dove tengo conferenze e spiego alle ragazze che possono fare tutto ciò che vogliono, cerco di farle sentire libere di intraprendere carriere che sono, purtroppo, ancora considerate prettamente maschili.


La nostra mission è questa: dimostrare l’importanza della scienza nella società e il ruolo che le donne possono svolgere al suo interno. Una società degna di essere chiamata tale deve essere inclusiva, variegata e con pari opportunità».


Tra le altre cose, lei è responsabile anche della prestigiosa Biblioteca Oliveira Lima della Catholic University of America di Washington.
«In qualità di vicerettore, sono responsabile di tutte le biblioteche dell’università. Non appena ho assunto il ruolo, il rettore mi ha chiesto di riaprire la Biblioteca Oliveira Lima, chiusa da tempo. È stata una donazione di Manuel de Oliveira Lima, diplomatico, storico, giornalista, scrittore e grande promotore del Brasile, nonché collezionista di libri, manoscritti, opuscoli, mappe. Si tratta di una biblioteca molto ricca, supera i 60 mila articoli, una parte dei quali è costituita da libri rari. Il nostro libro più antico è del 1507, è italiano. Ora stiamo conducendo una campagna di divulgazione: abbiamo digitalizzato la stragrande maggioranza dei libri rari, quelli che potevano essere digitalizzati. Sono pubblici, tutti possono accedere, cercare e consultare. Si tratta di un vero e proprio tesoro brasiliano a Washington».





Duilia De Mello è un’astronoma nata a Jundiaí, in Brasile. È professore ordinario di fisica e vicerettore per le strategie globali presso la Catholic University of America (CUA) di Washington. È anche ricercatrice associata presso il Goddard Space Flight Center (GSFC) della NASA e coautrice di immagini delle profondità dell’universo riprese con il telescopio spaziale Hubble. Ha lavorato come ricercatrice presso lo Space Telescope Science Institute (STScI) negli Stati Uniti, l’Osservatorio di Cerro Tololo in Cile e l’Osservatorio nazionale di Rio de Janeiro. Nel 2013 è stata eletta come una delle dieci donne che stanno cambiando il Brasile in una classifica del Barnard College dell’Università Columbia. È stata nominata dalla rivista Época come uno dei 100 brasiliani più influenti nel 2014 e nel 2020 le è stata conferita l’Ordine al merito del Rio Branco.

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