Sostenibilità

«Nelle nostre vite non vivremo più il clima precedente». Intervista a Giulio Betti

di Redazione

6 minuti

Il cambiamento climatico è un fenomeno con cui ormai ci confrontiamo quotidianamente, eppure resta complesso far comprendere la reale scala di cosa sta accadendo al nostro pianeta. Cosa significa un grado in più?

Abbiamo chiesto lumi a Giulio Betti, meteorologo e climatologo presso il Consorzio LaMMA (Laboratorio di Monitoraggio e Modellistica Ambientale) e l’Istituto di Biometeorologia del CNR di Firenze.

Lo stato dell’arte: a che punto siamo nel cambiamento climatico?
«Il 2022 è stato un anno talmente estremo da far comprendere a tutti in modo evidente l’andamento del cambiamento climatico: in soli dodici mesi abbiamo osservato fenomeni eccezionali dal punto di vista meteorologico, registrando numerosi record termici assoluti.

Purtroppo, stiamo andando nella direzione che da decenni era stata annunciata dai principali centri di ricerca e enti (IPCC tu tutti), cioè un clima terrestre che tende a scaldarsi continuamente.

Oltretutto, stiamo attraversando il cosiddetto fenomeno della Niña che dovrebbe portare nella direzione opposta, cioè ad un raffreddamento. Ma, nonostante la Niña abbia rallentato leggermente l’aumento della temperatura globale, a livello emisferico e continentale sono stati registrati record assoluti di caldo che hanno battuto i picchi di anni immediatamente precedenti.

La direzione è quella di un trend che non vuole saperne di fermarsi perché l’aumento della concentrazione dei gas serra non viene adeguatamente contrastato; pertanto, non c’è alcun motivo di pensare che nei prossimi decenni la temperatura tenderà a diminuire o si stabilizzerà».

Momenti di lockdown come quello che abbiamo vissuto per la pandemia potrebbero portare benefici al clima?
«È stato rilevato un lieve calo nelle emissioni globali, ma talmente piccolo e irrilevante che non ha avuto alcun effetto a livello climatico. Abbiamo avuto dei benefici a livello ecosistemico perché l’uomo era meno invasivo rispetto alla normalità.

Ma non bastano pochi mesi di diminuzione dei consumi, servono decenni di riduzioni sistematiche delle emissioni di anidride carbonica.

Dovremmo arrivare al pareggio tra emissioni e assorbimenti, allora sì, che potremmo vedere effetti positivi sulla temperatura media: prima assestarsi e poi iniziare leggermente a diminuire.

Infatti, spesso non si considera la lunga inerzia delle emissioni: il 30-40% della CO2 emessa rimarrà in atmosfera per decine o centinaia di anni. La priorità è interrompere il prima possibile l’accumulo della CO2 in eccesso».

Quali sono gli sforzi attuali a livello globale per affrontare la crisi climatica e quali sono i loro progressi?
«Personalmente sono moderatamente “ottimista”, malgrado le notizie negative. A livello globale, nonostante le emissioni nel loro complesso continuino ad aumentare, l’Europa e gli Usa, rispetto agli anni Novanta, hanno ridotto le emissioni, sebbene ancora al di sotto degli obiettivi prefissati. Dall’altro lato, i Paesi in via di sviluppo continuano ad aumentare la loro quota di combustibili fossili bruciati.

Sebbene oggi ancora non sia percettibile a livello numerico, nelle analisi già si riscontrano gli effetti della nuova sensibilità e tra 20 o 30 anni vedremo i risultati.

Al livello culturale, le nuove generazioni sono molto più attente delle precedenti: sono contrarie ai combustibili fossili non solo per ecologismo estremo, ma per la loro stessa sopravvivenza. Quando il cambio sarà anche economico vedremo gli effetti di questa rivoluzione sociale ed economica.


Inoltre, ha cominciato a diffondersi una sana paura perché gli effetti del cambiamento climatico sono sempre più evidenti, sia come fenomeni estremi (ad esempio le ondate di calore) che come scomparsa dei ghiacciai alpini, aprendo gli occhi anche ai più scettici.

Soprattutto in Europa che è l’area temperata che più si è scaldata a livello globale, parliamo di un grado e mezzo o due in più sulla media in inverno negli ultimi 40 anni. E nelle nostre vite non vivremo più il clima precedente, perché, anche se l’Europa intera si fermasse, non tornerebbe alle condizioni di partenza, ma si assesterebbe su un nuovo equilibrio».

Come si spiegano le anomalie nelle temperature in Europa negli ultimi anni, in particolare durante l’inverno, e quali sono le previsioni per il futuro in questa regione?
«Questa maggiore velocità è ancora oggetto di studio. Si può ipotizzare che la posizione dell’Europa abbia un ruolo.

Infatti, il nostro continente è di fatto una penisola racchiusa tra la regione polare, l’Atlantico e il Mediterraneo che, a sua volta, è un mare chiuso che tende a scaldarsi rapidamente e a trattenere il calore, confinante con il Sahara da cui provengono i flussi subtropicali e di origine desertica. Queste masse di aria calda ci sono sempre state, ma ora non vengono più bilanciate a sufficienza dal fronte polare la cui forza dipende anche dall’estensione della banchisa polare. I ghiacci artici delle zone europee, situati solitamente alle Svalbard e nel mare di Barents, si sono ridotti notevolmente negli ultimi decenni e in estate sono quasi del tutto assenti.

E quando manca il freddo in aree interessate dalla corrente del golfo atlantica, i flussi di calore tendono ad avanzare molto più facilmente.

È un circolo di feedback positivi che rende l’Italia e l’Europa degli hotspot. A causa della riduzione dei ghiacciai artici, avviene il cosiddetto fenomeno della atlantificazione dell’artico: le acque atlantiche calde tendono a penetrare sempre maggiormente nell’artico europeo, riducendo i ghiacci, favorendo un maggior assorbimento di calore da parte dell’oceano, rendendo la zona esposta ad anticicloni di blocco sub-tropicali e flussi di calore occidentali atlantici o meridionali africani, che ormai raggiungono senza problemi la Scandinavia.

Questo porta ad avere anomalie come i 42.6 gradi di Parigi, 40° di Londra, Bonn, i 38° della Siberia; un fenomeno impensabile cinquant’anni fa, benché fosse tutto ampiamente previsto».

Ci può spiegare le differenze tra meteo e clima?
«Quando vado nelle scuole a parlare di meteorologia e climatologia la spiego così: il primo è un evento meteorologico che si verifica in un determinato luogo e momento, il clima è la media delle condizioni metereologiche ripetute per almeno trent’anni.

È come per il carattere delle persone: capita di conoscere qualcuno di particolarmente scorbutico, può darsi che normalmente sia una persona adorabile che ha solo avuto una giornata storta o, invece, potrebbe essere davvero antipatica. Ma il dubbio si dissolve solo frequentandola per più di un caffè. Lo stesso vale per comprendere il clima».

Come risponde all’argomentazione degli scettici del cambiamento climatico che sostengono che sia causato principalmente da fattori naturali e non dalle attività umane?
«Innanzitutto, mi fa piacere constatare che, anche nell’opinione pubblica, il cambiamento climatico, la cui stessa esistenza veniva messo in dubbio fino a qualche anno fa, è ormai una certezza. Ormai gli scettici e i detrattori sono pochissimi e sono perlopiù impegnati a cavillare sulle concause.

Poi, certamente, è complesso far comprendere che, su cento anni, se ho dieci inverni più freddi della media e novanta più caldi, il clima è già cambiato e la direzione verso cui si sta procedendo è chiara. Ripeto che non è il singolo giorno o mese a fare il clima, ma l’insieme dei dati in serie storica.

Per rispondere alla domanda, il clima è sempre cambiato. La terra ha 4 miliardi e mezzo di anni e il clima è cambiato in maniera poderosa, anche con periodi in cui c’erano 13-14° in più di ora. Però, le variazioni della temperatura sono avvenute nell’arco di milioni di anni. Invece, oggi registriamo l’aumento di un grado in meno di cento anni, anzi quasi in 50!

Per comprendere la scala, quando è finita l’ultima glaciazione, al picco dell’aumento, l’innalzamento della temperatura globale di un grado impiegava mille anni.

Un fenomeno senza precedenti, non tanto per l’entità, ma per la velocità con cui avviene. Un pianeta più caldo e umido può anche andare bene all’umanità, sicuramente meglio di un pianeta ghiacciato, ma il cambiamento sarebbe assorbibile nell’arco di qualche secolo o millennio. Altrimenti nessun ecosistema avrebbe il tempo di adattarsi. La flora e la fauna che conosciamo sono il frutto di millenni di selezione naturale calata in un clima definito.

In più, in base all’attuale posizione della Terra rispetto al sole e alle previsioni astronomiche future, in questa epoca dovremmo attraversare un periodo di grande stabilità climatica con al più una lieve diminuzione delle temperature, con conseguente stabilità o lieve crescita dei ghiacciai. Invece, nonostante le condizioni astronomiche, stiamo assistendo all’aumento eccezionale della temperatura perché stiamo emettendo quantità enormi di anidride carbonica nell’atmosfera».




Giulio Betti è un meteorologo e climatologo che lavora presso il Consorzio LaMMA (Laboratorio di Monitoraggio e Modellistica Ambientale) e l’Istituto di Biometeorologia del CNR di Firenze. Tra le sue responsabilità vi sono la previsione del tempo, la reportistica meteo-climatica e il supporto meteorologico alla Protezione Civile (CFR Toscana). Inoltre, svolge attività di ricerca e sviluppo e si occupa della divulgazione dei risultati attraverso i media.

Riproduzione Riservata © 2022 Scitizenship

SHARE ON