Sostenibilità

Fotosintesi artificiale, ecco come usarla per immagazzinare energia solare

di Redazione

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Le fonti rinnovabili, come l’energia solare, non sono costanti nel tempo e richiedono una tecnologia per immagazzinare l’energia non utilizzata durante il giorno per usarla quando il sole non è disponibile. Ma come si può utilizzare un processo chimico per lo stoccaggio energetico?

Un lavoro di ricerca pubblicato su Nature Catalysis, condotto da ricercatori dell’Istituto Officina dei Materiali del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Trieste (CNR-IOM) in collaborazione con i ricercatori del Fritz Haber Institute della Max Planck Society di Berlino, indaga alcuni aspetti fondamentali di una tecnologia che permette di immagazzinare l’energia ricavata da fonti rinnovabili in combustibili, permettendone lo stoccaggio e il successivo utilizzo. La prima applicazione di questa tecnologia riguarda l’uso dell’energia solare per produrre idrogeno dall’acqua.

La ricerca si concentra sullo studio dettagliato di alcune fasi del processo di elettrolisi fotocatalitica, un processo elettrochimico che utilizza la luce solare per separare l’acqua nei suoi componenti, ossigeno e idrogeno. La fase più critica del processo è quella che riguarda la produzione di ossigeno, ed è stata l’oggetto dello studio condotto dai ricercatori del CNR-IOM e del Fritz Haber Institute. Questo studio mira a superare gli ostacoli che impediscono l’utilizzo su larga scala dell’elettrolisi come metodo di stoccaggio energetico.

L’energia solare può essere sfruttata per catalizzare la reazione di elettrolisi, producendo nuovi legami chimici che immagazzinano l’energia. Per recuperare questa energia in un secondo momento, basta invertire la reazione chimica, rompendo i legami chimici e liberando energia che può essere utilizzata, ad esempio, in una cella a combustibile dove idrogeno e ossigeno reagiscono per formare acqua e produrre energia elettrica. Questo processo è simile alla fotosintesi delle piante, che usano la luce solare per creare sostanze organiche e immagazzinare energia nei legami chimici dei carboidrati.

Il ricercatore Simone Piccinin, che ha cofirmato lo studio, ha spiegato che l’ematite, un ossido di ferro economico e stabile, è un materiale fotocatalizzatore che assorbe la luce e promuove l’ossidazione dell’acqua. Quando la luce colpisce l’ematite, si accumula una carica elettrica in superficie, che accelera la reazione di ossidazione dell’acqua in modo esponenziale. Questo rende l’ematite un materiale molto promettente per l’assorbimento e lo stoccaggio dell’energia solare.

Attraverso un approccio teorico molto dettagliato, il team di ricerca ha ricostruito il processo che avviene sulla superficie del materiale ad ogni singola interazione atomica quando viene colpita dalla luce. Grazie a questo modello atomistico, gli scienziati sono stati in grado di spiegare con precisione i meccanismi di reazione e gli intermedi coinvolti, nonché le fasi che limitano l’efficienza del processo. Questo ha permesso loro non solo di predire la velocità di reazione, ma anche di spiegare come essa dipende dall’accumulo di carica sulla superficie.

L’approfondimento dettagliato del processo ha permesso di costruire dispositivi sempre più efficienti e di utilizzare questa tecnologia in modo consapevole, contribuendo così a ridurre i costi e a consentirne l’impiego su larga scala.

Il gruppo di ricercatori di Berlino ha svolto invece il ruolo sperimentale, fornendo i risultati che sono stati successivamente confermati dalle simulazioni al computer effettuate a Trieste dal CNR-IOM, utilizzando i supercomputer messi a disposizione dal consorzio europeo PRACE (Partnership for Advanced Computing in Europe).

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