Temperature globali da record: il 2022 al sesto posto tra gli anni più caldi mai registrati nel pianeta, secondo l’analisi della Coldiretti basata sui dati relativi al primo semestre del 2022 elaborati dalla banca dati NOAA, il National Climatic Data Center (NCDC) che registra le temperature mondiali dal 1880.
Il cambiamento climatico è già una realtà, con effetti quali lo scioglimento delle calotte e dei ghiacciai polari, inverni più brevi, riduzione delle distese nevose, aumento del livello del mare, alluvioni costiere più frequenti, uragani più frequenti, cambiamenti radicali nella distribuzione della fauna selvatica, della vegetazione e delle malattie, modifiche delle correnti oceaniche.
Per avere maggiori informazioni su questi effetti, abbiamo intervistato Giorgio Budillon, membro della Commissione Scientifica Nazionale per l’Antartide (CSNA) e professore ordinario di oceanografia e fisica dell’atmosfera presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie dell’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”.
Di cosa si occupa principalmente durante la sua attività di ricerca in Antartide e perché è così importante andarci per comprendere la salute della Terra?
«Le attività che svolgiamo in Antartide sono prevalentemente focalizzate sulla variabilità delle proprietà fisiche e chimiche dei mari costieri e dell’Oceano Meridionale nel settore pacifico a sud della Nuova Zelanda in relazione ai cambiamenti climatici. Infatti, in queste zone e poche altre intorno all’Antartide e nel Nord Atlantico, si sviluppano importanti interazioni tra la superficie del mare e l’atmosfera che innescano correnti che si propagano in tutti gli oceani del globo contribuendo al sistema di circolazione che prende il nome di “Conveyor Belt”. Questo sistema di correnti oceaniche rappresenta il sistema venoso e arterioso del nostro pianeta e ha la funzione di ossigenare, tutti i bacini e soprattutto di ridistribuire il calore in modo da mantenere la temperatura del pianeta costante».
Con altri colleghi, ha pubblicato uno studio sulle acque di fondo dell’Oceano antartico, ci può raccontare cosa ha scoperto e perché è importante studiarle?
«Le acque che sprofondano nelle zone polari richiamano acque più calde che provengono dalle aree più temperate innescando così un movimento continuo, la cosiddetta circolazione termoalina globale. Idealmente una particella di acqua impiegherebbe circa mille anni ad effettuare un viaggio attraverso tutti gli oceani prima di ritornare al punto di partenza.
L’effetto globale di questi processi è di portare calore alle aree polari (correnti superficiali) e freddo alle aree più temperate (correnti profonde). Senza questo meccanismo, il clima terrestre sarebbe ben diverso da quello che conosciamo. Già in passato la circolazione oceanica ha modificato drasticamente il clima terrestre: circa 13 mila anni fa, mentre la Terra usciva dalla sua ultima era glaciale, le acque di fusione dovute alla deglaciazione del Nord America invadevano l’Atlantico settentrionale creando uno strato di acqua dolce che inibiva il trasporto di calore della Corrente del Golfo. L’effetto fu devastante e fece piombare nuovamente l’Europa nel freddo, per oltre 1000 anni.
Le nostre ricerche hanno messo in luce come il Mare di Ross svolga un importante ruolo in questo sistema molto complesso e hanno evidenziato come questi fenomeni siano connessi a livello globale».
Ci può spiegare perché l’aumento della temperatura media è una minaccia e soprattutto come si collega ai fenomeni meteorologici estremi?
«L’ulteriore incremento delle temperature atteso nei prossimi anni renderà più frequenti ed intensi gli eventi estremi, ed in particolare le ondate di calore e gli episodi di precipitazioni intense. Secondo i modelli climatici, inoltre, anche i periodi siccitosi diventeranno più frequenti e severi, sebbene il livello di confidenza di tale predizione sia più basso di quello associato alle onde di calore e alle piogge intense.
Le proiezioni dei modelli indicano che, su scala globale, gli eventi di precipitazioni giornaliere estreme diventeranno più intensi del 7% per ogni grado in più di temperatura. Aumenterà, inoltre, anche il numero di uragani particolarmente intensi (come quelli di categoria 4 e 5). Nelle prossime decadi, inoltre, diminuirà ulteriormente l’estensione del permafrost, così come la durata della copertura nevosa; tendenze di segno negativo, inoltre, sono attese anche per il ghiaccio continentale ed il ghiaccio marino. L’Artico, prima del 2050, potrebbe diventare totalmente libero da ghiaccio nel mese di settembre, a prescindere dallo scenario di emissione considerato. In Antartide, invece, non sono attese particolari variazioni nell’estensione del ghiaccio marino.
Le proiezioni future suggeriscono che nel Mediterraneo aumenterà la frequenza e la severità delle onde di calore. L’area, inoltre, farà i conti anche con un incremento del numero di notti tropicali e il riscaldamento sarà più intenso nella stagione estiva rispetto a quella invernale. Alcuni studi attribuiscono le cause di tale proiezione modellistica alle interazioni suolo-atmosfera e alla transizione verso condizioni più secche».
Lei è autore di uno studio sulla variabilità delle nevicate in Italia, ce ne può parlare? Cosa emerge da questo studio? Com’è la situazione climatica italiana?
«La neve rappresenta per prima cosa una fondamentale riserva idrica in quanto rilascia lentamente l’acqua mano a mano che fonde. Questo processo garantisce l’alimentazione delle sorgenti per lungo tempo, a differenza delle precipitazioni liquide. L’acqua provenienti dai nevai e dai ghiacciai alimenta infatti le falde acquifere profonde e irriga i terreni in maniera continua favorendone l’assorbimento nel suolo.
In merito alle precipitazioni, le simulazioni disponibili, con riferimento a quelle frutto di modelli regionali mostrano un segnale ben definito, che va nella direzione di una riduzione degli apporti di pioggia su tutto il bacino nella stagione calda (ad esempio, da aprile a settembre); la magnitudine di tale trend è particolarmente rilevante nel periodo estivo. Per quanto concerne la stagione invernale, sono attese condizioni più secche nelle aree centrali e meridionali e più umide nelle aree più settentrionali (Regione Alpina).
In buona sostanza si prevede che il regime pluviometrico della regione mediterranea sarà contraddistinto da una maggiore variabilità interannuale, da fenomeni di maggiore intensità, specie in inverno, primavera e autunno, da una diminuzione della frequenza di occorrenza dei fenomeni precipitativi e da periodi secchi più lunghi (specie in estate).
Per quanto riguarda le precipitazioni nevose ci sono segnali discordanti. Stiamo ancora approfondendo i dati di un osservatorio posizionato ad alta quota presso l’Abbazia di Montevergine, nel comune di Mercogliano (AV), a circa 1280 m sul livello del mare. L’osservatorio ha una lunga serie storica risalente al lontano 1884. La tendenza negli ultimi decenni ha evidenziato una diminuzione delle precipitazioni nevose, ma negli ultimi anni abbiamo notato una inversione di tendenza che deve essere verificata nei prossimi inverni».

Giorgio Budillon è un professore ordinario di oceanografia e fisica dell’atmosfera presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie dell’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”. Dal 1989, si è dedicato alla ricerca oceanografica nel bacino del Mar Mediterraneo, conducendo oltre 30 spedizioni e in Antartide, dove ha condotto 15 spedizioni oceanografiche. Con il suo gruppo di ricerca, ha stabilito numerose collaborazioni internazionali con gli Stati Uniti, l’Australia, la Francia, l’Inghilterra, l’Argentina e il Cile. L’attività di ricerca è stata documentata attraverso la pubblicazione di oltre 350 lavori, tra cui pubblicazioni su riviste scientifiche nazionali ed internazionali, voci enciclopediche, relazioni in convegni e articoli divulgativi. Dal 2014 è il rappresentante nazionale del Southern Ocean Observing System (SOOS) e componente del Comitato Scientifico Permanente per le Scienze Fisiche dello SCAR (Scientific Committee on Antarctic Research) e nel 2016 è stato nominato membro della Commissione Scientifica Nazionale per l’Antartide, in qualità di esperto designato dalla CRUI.