Medicina

Guardare “con la coda dell’occhio” rende gli esseri umani dei computer viventi

di Redazione

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I ricercatori dell’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa (CNR-IN) in collaborazione con i colleghi dell’Università di Firenze, hanno recentemente identificato un nuovo meccanismo che agisce sulle immagini periferiche. Nella terminologia comune, il termine “visione periferica” si riferisce alla capacità di osservare oggetti senza guardare direttamente in quella direzione, cioè con la coda dell’occhio. Tuttavia, la visione periferica non garantisce la stessa affidabilità e risoluzione della visione centrale. Ad esempio, quando si concentra lo sguardo su una parola in un testo scritto, la parola in questione è chiara e definita, mentre quelle circostanti possono apparire sfocate e poco chiare. Questo fenomeno è dovuto al fatto che i recettori retinici non sono distribuiti uniformemente, essendo maggiormente concentrati nella zona della retina che riceve le immagini centrali, mentre sono più radi per le immagini periferiche.

Perché possiamo vedere e utilizzare le immagini catturate dalla nostra visione periferica, nonostante la bassa risoluzione? Secondo Guido Marco Cicchini, primo autore dello studio presso il CNR-IN, i processi visivi che ci permettono di vedere, leggere, riconoscere volti, oggetti e colori, non sono meccanismi passivi come le telecamere con impostazioni fisse, ma piuttosto attivi e in grado di adattarsi alle informazioni poco affidabili.

Gli studiosi hanno utilizzato un fenomeno visivo noto come “crowding” o affollamento, per scoprire che il cervello, nella visione periferica, ricostruisce continuamente l’immagine visiva, riempiendola con i segnali più affidabili e attenuando quelli più incerti. Attraverso un esperimento, hanno chiesto ai soggetti di riconoscere l’orientamento di un disegno ovale posto in periferia, mentre venivano mostrati anche altri disegni adiacenti. Hanno osservato che se l’ovale era sottile, quasi una linea, la risposta dipendeva solo dall’oggetto, mentre se l’ovale aveva una forma tendente alla circonferenza e quindi il suo orientamento non era ben definito, la risposta incorporava anche le immagini laterali dell’ovale di interesse.

Il professor David Burr dell’Università di Firenze, autore principale dello studio pubblicato sulla Nature Communications, spiega che in un sistema di videosorveglianza con più telecamere che riprendono l’ingresso di un edificio, è possibile selezionare la fonte di informazione più affidabile se una telecamera temporaneamente fornisce immagini di scarsa qualità. Ciò è simile alla capacità dei neuroni nella corteccia visiva di valutare costantemente la qualità dell’informazione e di compensare la scarsa qualità di alcune parti del campo visivo utilizzando le informazioni adiacenti più affidabili.

Ciò che rende questo studio interessante è che la capacità dell’occhio di elaborare l’informazione segue le regole di elaborazione dell’informazione utilizzate dai computer, che rappresentano il massimo teorico delle capacità di elaborazione dell’informazione. Ciò indica che l’elaborazione dinamica delle immagini visive nel cervello può fornire importanti benefici. Inoltre, le scoperte di questo studio potrebbero avere implicazioni per lo sviluppo di sistemi di visione artificiale e robotica più sofisticati.

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