Medicina

COVID-19 e obesità, quando una pandemia incontra un’epidemia

di Matteo Oliverio

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Quando ormai più di un anno e mezzo fa ci siamo trovati alle prese con il COVID-19, ci è parso subito chiaro chi fossero i soggetti più a rischio: gli anziani e le persone con problemi respiratori. Non ci è voluto molto però a capire che la pandemia si era scontrata anche con l’epidemia del nostro secolo, l’obesità.

Dal 1975 ad oggi l’obesità ha triplicato i suoi numeri, superando la fame nel mondo per numero di persone affette. Sono quasi 2 miliardi le persone sovrappeso al mondo, di cui 650 milioni obese. Questi numeri vengono dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha stabilito fattori specifici per indicare chi è obeso e chi no. L’unità di misura utilizzata è il BMI (in italiano IMC, indice di massa corporea), ovvero il peso in chilogrammi diviso per l’altezza in metri al quadrato: da 25 in su sei sovrappeso, sopra i 30 obeso.

L’obesità non è una malattia monolitica. C’è, infatti, tutta una serie di patologie ad essa strettamente connesse, la più nota delle quali è, certamente, il diabete mellito di tipo II (quello degli adulti per intenderci). Insieme al grasso si rischia poi di accumulare, tra gli altri, anche problemi cardiovascolari e persino alcuni tipi di cancro.

Il dato che è subito balzato all’occhio è che le persone obese sono più a rischio di avere un decorso grave della COVID-19 e, di conseguenza, un aumento dei ricoveri in terapia intensiva e della mortalità dovuta alla malattia. Guardando i numeri, sulla base di una meta-analisi di 75 studi pubblicati, si vede che essere obesi aumenta del 46% il rischio di infezione da SARS-CoV-2, del 113% l’ospedalizzazione, del 74% il ricovero in terapia intensiva e del 48% la mortalità. L’americano CDC, Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie, include, infatti, l’obesità e il diabete tra i fattori di maggior rischio per un decorso grave della malattia, insieme a patologie quali problemi respiratori cronici, cancro e problemi cardiovascolari. L’associazione tra COVID-19 grave e obesità è comunque diffusa in tutte le nazioni, come evidenziato dal rapporto del 2021 dell’associazione World Obesity Day. Tra le fonti, nella parte bassa dell’articolo, sono riportati studi a supporto di questa relazione provenienti, tra gli altri, da Cina, Gran Bretagna, Francia, Brasile, Messico, Kuwait e anche dall’Italia.

Il motivo di questi rischi aggravati in persone obese – e diabetiche – è dovuto a una serie variegata di fattori clinici legati a questa patologia. L’obesità porta con sé una risposta immunitaria alterata, uno stato aterotrombotico e un’infiammazione cronica di molti tessuti. Questo fa sì che, in caso di infezione da SARS-CoV-2, ci sia una risposta esagerata delle citochine (una classe di piccole proteine importanti nella comunicazione cellulare) che porta a una cosiddetta tempesta di citochine. Ed è proprio questa tempesta che può portare a shock settici, sindrome da stress respiratorio acuto e a un collasso multiplo degli organi.

Ma alla fine cosa possiamo fare contro questa combo?

Se escludiamo le persone con una predisposizione genetica all’obesità, la soluzione è tanto ovvia quanto – sulla carta – semplice: una dieta sana ed equilibrata e costante attività fisica (l’OMS suggerisce almeno 2 ore e mezza a settimana per gli adulti). Comunque, mentre aspettiamo di rinnovare l’abbonamento in palestra, di uscire per fare una corsetta sotto la pioggia o di preparare una salutare insalatona, ci conviene fare il vaccino!

Fonti:



Matteo Oliverio è nato come scienziato presso il CNR di Pavia, per poi conseguire il dottorato presso il Max Planck Institute for Metabolism Research a Colonia, in Germania, dove attualmente risiede. Ha saputo combinare la sua carriera da ricercatore con quella di grafico e comunicatore scientifico, riuscendo a unire la sua passione per la scienza con quella per la grafica e l’arte in generale.

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